Una novella patria dello spirito
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Una novella patria dello spirito

Firenze e gli artisti delle Venezie nel primo novecento

Opere dal Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi
Scuderie di Palazzo Coronini Cromberg 13 aprile 2013 - 30 giugno 2013

Il Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi, conosciuto in tutto il mondo per le sue preziose collezioni antiche, custodisce anche una considerevole raccolta di opere del Novecento. Dalle collezioni contemporanee, meno note ma in continua crescita grazie ad acquisti e donazioni,  appartengono i 66 fogli selezionati per la mostra: un corpus grafico che documenta la produzione di alcuni importanti artisti provenienti dal Friuli Venezia Giulia, dal Veneto e dal Trentino, entrati in contatto con Firenze nei primi decenni del Novecento.

Il percorso espositivo, completato da quattro opere di proprietà della Fondazione Coronini, si apre con gli eleganti ritratti femminili del padovano Lino Selvatico e del triestino Arturo Rietti, seguiti dalle suggestive vedute di Bruno Croatto, dalle invenzioni dagli accenti simbolisti di Guido Balsamo Stella e dalle figure intensamente espressive del goriziano Edoardo Del Neri. Si tratta di artisti ancora legati per formazione e cultura agli ultimi decenni dell’Ottocento, quando nelle regioni del Triveneto, ancora in parte sottoposte al dominio austriaco, i punti di riferimento culturale erano rappresentati non solo dall’Accademia di Venezia ma anche dai movimenti secessionisti di Monaco e Vienna.  Per Del Neri  il superamento della tradizione mitteleuropea avverrà sulla via di Roma, per Vittorio Bolaffio, altro goriziano imbevuto di cultura triestina, direttamente a Parigi, mentre Croatto troverà proprio nell’incisione, grazie all’impressione suscitata dai paesaggi umbri  e toscani, la prima fonte della propria vocazione.

Il nucleo centrale della mostra è costituito dalle opere di Carlo Cainelli, Carlo Sbisà e Giannino Marchig, artisti che, spinti dalla ricerca di una precisa identità nazionale, elessero Firenze a sede dei loro studi e della loro prima attività, come già avevano fatto, negli anni precedenti la Grande Guerra, il pittore Vittorio Bolaffio e molti intellettuali triestini e goriziani, fra i quali Carlo Michelstaedter, Giani Stuparich e Scipio Slataper.

Ampio spazio è stato riservato alla figura del triestino Giannino Marchig, presente con 22 opere che testimoniano l’importanza del soggiorno fiorentino nell’evoluzione del suo linguaggio artistico. Come scrisse infatti in quegli anni il critico Sergio Ortolani,  «Firenze appena conosciuta fu una novella patria del suo spirito», il punto di partenza di quella «rivelazione di italianità» che, senza  la stretta adesione a gruppi e correnti, lo portò alla riscoperta del classicismo di Giotto e del Caravaggio verso la sua  personale interpretazione del “ritorno all’ordine”.

Si va dalle stampe che rappresentano vivaci figure sedute nei caffè, scorci di piazze e strade piene di vita, agli intensi ritratti di famigliari, amici e conoscenti, ai rapidi disegni preparatori per i suoi dipinti. È interessante notare come le stesse tematiche, gli stessi luoghi e gli stessi ambienti si riaffaccino nelle coeve acqueforti, stilisticamente molto affini, del concittadino Carlo Sbisà, con in quale aveva maturato uno stretto rapporto d’amicizia, così come nelle opere del trentino Carlo Cainelli.

Entrambi questi artisti, al pari dell’udinese Antonio Coceani, negli anni della guerra avevano seguito all’Accademia di Firenze i corsi di incisione tenuti da Emilio Mazzoni Zarini (1869-1849), personalità ancora poco nota ma considerato all’epoca uno dei maggiori acquafortisti italiani, come conferma la sua regolare presenza alle Biennali e alle varie Esposizioni nazionali dedicate alla grafica. Dal lascito che Mazzoni Zarini destinò al Gabinetto degli Uffizi al momento della sua morte nel 1949 provengono molte delle opere in mostra. Si tratta di omaggi che attestano la stima dei suoi giovani allievi dell’Accademia, ma anche i contatti con artisti già affermati che condividevano con lui la passione per l’incisione e con i quali si erano instaurati legami di amicizia, di scambio e di confronto, da Bruno Croatto, all’illustratore padovano Alberto Zardo, fino all’udinese Fabio Mauroner, i cui fogli conservano alcune dediche particolarmente affettuose.

In realtà, oltre che attraverso il lascito Mazzoni Zarini,  numerose opere di Mauroner, dello stesso Croatto, di Marchig, del torinese – ma veneto d’adozione – Guido Balsamo Stella, del trentino Benvenuto Disertori e del montebellunese Lino Bianchi Barriviera sono pervenute al Gabinetto Disegni e Stampe in seguito alla politica di acquisti intrapresa nei primi trent’anni del Novecento.  L’interesse verso la produzione di artisti che proprio nell’incisione avevano trovato un fondamentale mezzo di espressione della propria creatività rientra a pieno titolo in quel vasto fenomeno che fu la rinascita del “Bianco e nero”. L’Italia infatti, pur vantando un’antica tradizione di grande valore nei settori della stampa d’arte e dell’illustrazione libraria, all’inizio del secolo appariva ancora in evidente ritardo sugli altri paesi europei. Le Biennali di Venezia, che fin dalla prima edizione del 1895 avevano dedicato una o più sale alla grafica,  e gli illuminati interventi del napoletano Vittorio Pica apparsi sulle pagine della rivista “Emporium”, contribuirono a far conoscere i nuovi maestri dell’incisione europea, risvegliando l’attenzione del pubblico e della critica e favorendo, anche nel nostro paese, l’affermazione di interpreti di altissimo livello.  Lo rivelano, a conclusione del percorso espositivo, gli ascetici borghi medievali colmi di suggestioni trecentesche di Disertori, le vedute veneziane di Mauroner, che rileggono la grande tradizione settecentesca di Guardi e Canaletto alla luce dei moderni incisori inglesi e olandesi, e i paesaggi dall’accentuato sviluppo orizzontale di Bianchi Barriviera, dove accenti rembrandtiani e cinquecenteschi si innestano sugli stimoli proposti dalle avanguardie artistiche del Novecento.

In una molteplicità di variazioni e interpretazioni, le opere in mostra conducono quindi a riscoprire le infinite possibilità dell’arte del “Bianco e nero”, in grado di esprimersi attraverso i tratti delicati della matita, l’intensa forza del carboncino, i rudi contrasti della xilografia, i delicati passaggi dell’acquaforte o la capacità evocativa della puntasecca.